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Lunedì 02 Gennaio 2017, Quando i primi soccorritori, scavalcando i cadaveri, sono riusciti a entrare nelle salette interne del Reina, il night club più alla moda di Istanbul, si sono trovati davanti a una scena da film dell’orrore. Fra i divanetti bordeaux e le piste da ballo blu fosforescente c’erano decine di corpi distesi a terra, inzuppati di sangue.
Le pozze quasi si confondevano con i colori dell’arredo, nella penombra prima dell’alba. Il terrorismo, quasi di sicuro di matrice islamista, e in perfetto stile Isis, aveva appena colpito ancora una volta la megalopoli che si estende fra Europa e Asia . La cerniera più fragile del Vecchio Continente esposto alla furia jihadista. Che ha replicato i massacri del Ramadan estivo nell’offensiva «delle feste natalizie».
Il terrorista, che in un primo momento sembrava si fosse vestito da Babbo Natale per eludere i controlli (ipotesi smentita dal ministro dell’Interno), verso l’una è arrivato all’ingresso del Reina, un locale affacciato sulla riva europea del Bosforo, raggiungibile direttamente dal mare o via terra. «Tutto è avvenuto in un attimo», ha spiegato un gruppo di turisti modenesi scampati per un soffio ai colpi che «arrivavano da tutte le parti», al caos, alla calca dove molti sono rimasti contusi e feriti, con la gente che calpestava quelli rimasti a terra «per sopravvivere», secondo la testimonianza del calciatore Sefa Boydas, centrocampista del Beylerbeyi.
Non è chiaro come il killer sia riuscito ad avvicinarsi con un fucile mitragliatore, forse nascosto sotto i vestiti, in una città sorvegliata da 17 mila poliziotti e militari, dove i servizi segreti avevano intercettato i segnali di un attacco imminente e lanciato l’allerta massima. Di certo ha gridato in arabo «Allah è il più grande», ha aperto il fuoco e, raffica dopo raffica, ha fatto strage fra i 750 clienti che stavano brindando a suon di musica e champagne al 2017 appena iniziato. Trentanove persone, undici turchi e ventotto stranieri, sono rimaste uccise. Oltre settanta i feriti. Un massacro che ricorda quello dei caffè di Parigi e del Bataclan del novembre 2015.
A differenza di Parigi, però, e come Anis Amri dopo l’attacco al mercatino di Berlino dieci giorni fa, l’attentatore non era votato al suicidio. Voleva sopravvivere e replicare l’attacco, come forse ha fatto nel pomeriggio davanti alla moschea Hasan Pasha, nel quartiere settentrionale di Sariyer. Ha sparato e poi è fuggito, probabilmente ha attraversato il ristorante giapponese al piano superiore fino alle scalette che conducono alla passeggiata lungo il Bosforo, e poi alla strada a scorrimento veloce. Poco distante c’è il terzo ponte sullo stretto, dove il 15 luglio il popolo chiamato alla resistenza dal presidente Recep Tayyip Erdogan aveva fermato a mani nude i carri armati dei golpisti.
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