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Sabato 10 Marzo 2018,
IL governo cinese è solo uno dei tanti che si sta ponendo in modo ostile verso il mondo delle criptovalute: ufficialmente per limitare i rischi finanziari, visto che buona parte di chi investe in bitcoin e simili spera di ottenere una plusvalenza successiva derivante dalla sua supervalutazione, considerando la sua instabilità e la sua domanda-offerta variabile anche di moltissimo. Del resto tutto ciò che non sia gradito al governo cinese viene filtrato in modo automatico, e le criptovalute ed i rispettivi protocolli non sembrano esserne affatto esenti (da circa 6 mesi gli scambi di cripto sono ufficialmente vietati): secondo il South Cina Morning Post la banca popolare cinese avrebbe fatto pressione per far aggiungere alla lista degli IP e dei siti proibiti quelli dei principali exchange – non sono noti i nomi che vengono bloccati, ma presumibilmente tutti i più famosi – e anche delle ICO (Initial Coin Offering, i controversi – in molti casi – siti di raccolta fondi, al fine di lanciare nuove criptomonete), ufficialmente al fine di contrastare i “rischi finanziari”. In Cina è, come accennavo, vigente il divieto di scambio di criptovalute fin dallo scorso anno (2017), e tali misure sembrano mirare a restringere ancora di più il campo di azione per gli operatori che cercavano via VPN o reti anonime di aggirare i blocchi.